“Buen vivir” – Progetti di sviluppo locale per costruire speranze
In viaggio con Josè Tonello (FEPP) nelle terre andine dell’Ecuador
La porta d’entrata in terra ecuadoriana si chiama Quito. L’estesa capitale riflette immediatamente spettacolarità e contraddizioni. Avvolta da montagne verdeggianti custodisce un centro storico d’inestimabile valore artistico. Qui, in molti vivono in condizioni precarie e pagano a caro prezzo la loro istanza in questo contorno meraviglioso. Più a nord, invece, gli edifici moderni compongono il cuore commerciale della città. Dove, pochi approfittano della ricchezza prodotta dal paese.
L’ambivalenza sarà nostra fedele compagna di viaggio.
Incontriamo Josè Tonello, affettuosamente chiamato Bepi. Trasferitosi in Ecuador dopo l’infanzia italiana, è ora il Presidente del GsFepp: Grupo Social Fondo Ecuatoriano Populorum Progressio. Organizzazione che lo scorso anno ha festeggiato il suo quarantennale, affermatasi come riferimento nell’ambito dello sviluppo locale. Infatti, nei decenni d’attività, sono numerose le persone aiutate ed i progetti comunitari intrapresi.
Percorriamo con Bepi il tragitto dalla città di Quito a quella di Ibarra, nei cui pressi terrà una riunione con i suoi collaboratori. In macchina, ricorda i primi passi mossi in questo paese, le lotte e il duro lavoro. Restiamo affascinati dal suo entusiasmo e dalla sua energia. I racconti ripercorrono l’ impegno a fianco dei più deboli, volto a combattere quella tendenza che da secoli legittima sfruttamento, discriminazione ed emarginazione. Si oppone con forza ad un meccanismo che provoca mancanza di servizi, di opportunità e difficoltà nell’avere una vita dignitosa.
Oltrepassiamo la città di Ibarra e raggiungiamo la Comunidad Magdalena. Gli abitanti ci accolgono con sorrisi gioiosi e genuini e ci fanno intuire subito l’importanza del concetto comunità. Un’entità definibile come un’organizzazione civile con l’intento di un divenire condiviso.
Questa e le altre comunità rurali affrontano da sempre sfide in situazione di vento contrario. Le politiche economiche promosse dalle istituzioni sopranazionali, generalmente non considerano l’enorme diversità nella connotazione, nelle necessità e nelle variabili socio-culturali dei territori che ne dovrebbero beneficiare. Così, molte delle soluzioni proposte si sono rivelate solo una minaccia. Ad esempio, la rivoluzione verde venne presentata come strumento utile a migliorare le condizioni di vita ed a ridurre le emissioni di gas serra. Si diffuse la pratica della monocoltura che portò alla vertiginosa crescita del consumo di pesticidi e fertilizzanti, e con essa dei profitti delle imprese agrochimiche. Al contrario, per i campesinos andini, l’uso intensivo e il conseguente deterioramento dei terreni significarono l’incapacità di provvedere alla sovranità alimentare.
La speranza infusa in milioni di persone si tradusse ben presto in fallimento. Di comunità in comunità, sono parecchie le persone che rimpiangono la perdita di diverse specie vegetali e sementi native, e gli anziani rammentano come si sono impoverite le relazioni sociali.
In passato, la gestione del settore agricolo era organizzata su base orizzontale e le decisioni prese collettivamente. Oggigiorno, la gestione centralizzata spetta alle poche multinazionali che sono riuscite ad accaparrarsi i diritti di proprietà sulle sementi. Con il risultato, che le famiglie non riescono a provvedere al proprio autosostentamento e le nuove generazioni abbandonano la terra d’origine.
Assieme agli operatori del Fepp abbiamo conosciuto molte realtà di questo tipo. Prima dell’intervento del Fondo, svariate non disponevano dell’acqua potabile e l’accesso al credito era una chimera. Ora, in quei luoghi i campesinos godono delle tecnologie con cui elaborano i prodotti locali, e li vendono finalmente ad un prezzo giusto.
L’approccio degli addetti è scevro d’ogni tipo di compassione. La povertà non viene commiserata, bensì trattata con determinazione. L’emigrazione diventa risorsa attraverso le rimesse. La beneficenza sostituita col credito e la bassa produttività del lavoro rieducata con metodologie di produzione moderne, volte al recupero delle coltivazioni tradizionali.
Oltretutto, il ruolo delle donne è centrale nella visone di sviluppo proposta dal Fepp. Tant’è, che Bepi ribadisce spesso l’esito positivo conseguito dai progetti di cui sono le beneficiarie. Le case comunitarie e le piccole casse di credito instaurate da Codesarrollo (braccio creditizio del Fepp), sono spesso gestite da donne. Che si occupano sia dell’organizzazione dello svago che del patrimonio comune.
In accordo con la linea interpretativa per cui la donna governa la vita sociale e quella famigliare, si sta espandendo il turismo comunitario. Una formula, secondo la quale, la famiglia campesina ospita i turisti, coinvolgendoli nella coltivazione e nella cura della casa. Insomma, nella condivisione della quotidianità, che si trasforma in un’occasione unica d’intenso scambio culturale, tra nazionalità, generazioni e stili di vita diversi.
La Comunidad Magdalena si distingue per essere un caso emblematico in questo processo. Il villaggio sorge, infatti, sul territorio di uno dei numerosi latifondi che per secoli hanno dominato la vita Ecuadoriana, e più in generale di tutta l’America Latina. I proprietari, coloni prima e danarosi ecuadoriani poi, costantemente approfittavano della manodopera campesina.
Ciò nonostante, le popolazioni Quechua hanno resistito tenacemente. Nel 1992, in seguito a numerose lotte, la CONAIE (Confederazione delle popolazioni indigene) dichiarò:“No una hacienda mas”. Fu il momento della svolta. E la formidabile volontà di fermare la pratica latifondista portò col tempo a risultati via via più concreti. Oggi, gli abitanti possono acquisire la proprietà della terra che da sempre coltivano. Il governo, a tal fine, elargisce fondi statali mediante il microcredito. Un cielo splendente illumina e ravviva queste cime millenarie. Persone gentili, con il volto scolpito dal lavoro e dall’orgoglio, ospitano nelle loro vite i turisti e li omaggiano di saperi che porteranno con loro.
Confrontandoci con loro abbiamo realizzato quanto siamo, inconsapevolmente disabituati, a valori quali solidarietà, condivisione e ad una visione unitaria e spirituale della vita. Tra i pendii andini abbiamo scoperto i racconti di vita rurale e di storia coloniale. I nostri interlocutori coltivano grandi speranze per il futuro, condividono progetti, idee e alternative con i tecnici del Fepp.
Tutti, vorrebbero emulare il successo delle azioni avviate nella regione di Bolivar. Una zona integralmente rurale, dove l’associazionismo ha garantito risultati splendidi. Nell’area tra Salinas e Simiantug, sono nati caseifici locali che distribuiscono prodotti in tutto il paese e produzioni di cioccolato che partecipano ai circuiti del commercio equo-solidale.
Grazie alla forza delle associazioni, ai produttori vengono corrisposti prezzi dignitosi. Le donne gestiscono i centri d’accoglienza, oltre che uno dei più noti centri di produzione artigianale di tutto il paese. Il Fepp è continua a professionalizzare i residenti, ad ampliare le coltivazioni e concepire prodotti eco-responsabili. Inoltre, la popolazione viene sensibilizzata ed educata in relazione alla cittadinanza attiva e alla comprensione dei vincoli burocratici. Infine, un altro progetto, si occupa dell’opera di riforestazione con piante native.
Il lavoro fatto, ha indubbiamente attecchito su un terreno fertile, dove esistevano valori di reciprocità, complementarietà e coesistenza. Segni di un importante lascito culturale, riscontrabile materialmente nella Minga: una prestazione d’opera su base volontaria che fu una pratica consolidata nella cultura indigena. Tutt’oggi, quando esiste il bisogno di costruire beni d’utilità collettiva: strade, ponti, etc. si ricorre a quest’antica usanza, la quale richiama al senso civile, all’impegno comune e all’orgoglio dei popoli Quechua. Risulta dunque basilare nel discorso sullo sviluppo sostenibile il riconoscimento dei diritti e dei valori delle popolazioni native.
Un ulteriore tema centrale, in Ecuador, è l’abbandono delle aree rurali a favore delle periferie urbane. Una tendenza, apparentemente incontrovertibile, che si configura con una moltitudine d’individui relegati in quartieri invivibili e sovrappopolati. D’altro canto, le voci che abbiamo ascoltato, raccontavano di come la città offra maggiori garanzie a livello educazionale e sanitario. Garantire alla prole l’opportunità di vivere in città, per studiare o lavorare, viene reputato un dono da parte dalla famiglia.
I grandi centri urbani affascinano soprattutto i giovani. Promettono dinamicità rispetto alla staticità della campagna, dove la vita segue i ritmi scanditi dalla natura. La metropoli può essere un luogo di fortuna, può altresì rivelarsi un ingranaggio nel quale finire stritolati.
Si perdono così, tradizioni plurisecolari. L’orgoglio di indossare il poncho originale della propria etnia sparisce, assieme all’accesa competizione manifatturiera. Ciò porta ad un progressivo dissolversi dell’identità territoriale ed al deterioramento del tessuto sociale.
Dalle regioni rurali s’incanalano flussi unidirezionali. Oltre alle persone, anche merci e profitti si allontanano irrimediabilmente. Soprusi, privazioni, cadute e talvolta rinascite sono la consuetudine nel panorama andino. A dispetto di questo, la voglia di scrivere una storia nuova è poderosa.
Tra le alternative immediate esiste la creazione di circuiti virtuosi a livello locale e regionale. Un mercato interno dinamico, consentirebbe d’investire il surplus economico in servizi per le comunità, generando nuove opportunità formative e lavorative. Un minifondista avrebbe così la possibilità di complementare le insufficienti entrate famigliari. Verosimilmente, si creerebbe una considerevole integrazione territoriale, un intorno orientato all’innovazione, magnete d’investimenti e nuove iniziative. Costruendo, a tal proposito, una società meno vulnerabile e maggiormente inclusiva. S’incentiverebbe maggiormente il protagonismo sociale dei produttori, e si potrebbe concretamente evitare l’emorragia di ricchezze umane e naturali. Resta comunque imprescindibile una presa di coscienza, necessaria al fine di invertire questa forza univoca responsabile del continuo depauperamento.
L’impegno d’istituzioni come il Fepp, è di stimolare e motivare gli attori sociali, di investire in umanità.
Da parte sua, il governo Ecuadoriano presieduto dal Presidente Rafael Correa, ha tracciato la via per un auspicabile cambio di rotta, sancendo all’interno della nuova costituzione Ecuadoriana il principio di Sumak Kawsay o Buen vivir. Conosciuto a livello internazionale con Good Living “living well, not better than others”. Sumak Kawsay è l’espressione di una forma ancestrale d’essere, stare e vivere il mondo. E’ una concezione della vita che esula da alcuni dei valori propagatisi con la modernità: individualismo, ricerca del profitto, rapporto costi-benefici come assioma sociale, relazioni strategiche tra uomini, mercificazione della vita umana ed egoismo insito nel consumo. La scelta del governo, dichiara esplicitamente che il fine della società deve essere il benessere e non la prosperità economica.
In aggiunta, per la prima volta nella storia, vengono riconosciuti i diritti civili della natura. Diritti appartenenti alla visione del mondo delle comunità indigene. Il tentativo, è di incorporare la dimensione umana, etica e olistica all’interno dei rapporti sociali, economici e ambientali. La cultura indigena presenta storicamente un modello che diviene nel rispetto della natura ed in migliaia d’anni di tradizione non ha compromesso l’ambiente.
I progetti avviati dal Fepp sposano questa filosofia. Sono programmi di sviluppo locale, umano, integrale, endogeno e sostenibile. In questi anni, sono nate relazioni inter-istituzionali essenziali nel generare sinergie e promuovere un orientamento condiviso. L’economia viene rivisitata in ottica solidale e ricondotta al suo ruolo originario, cioè subordinato alla sfera sociale e politica.
Il raggiungimento del Sumak Kawsay implica un’esistenza vissuta in collegamento ed in armonia con la natura. Si traduce nel miglioramento della qualità di vita dei popoli e comporta la possibilità per ogni individuo di disporre di un sistema in cui regnano l’uguaglianza, la partecipazione attiva alla cittadinanza e la difesa delle peculiarità culturali. La proposta ultima, è un nuovo contratto sociale, nel quale convivono unità e diversità.
Bepi Tonello è convinto che per conquistare questi obiettivi ed ottenere stravolgimenti epocali è imprescindibile lavorare di più e meglio. Non bisogna aver paura di pensare e non temere il cambiamento; bisogna infine allargare gli orizzonti e non perdere la speranza. In breve, ciò che lui e il Fepp fanno egregiamente da quarant’anni.
Fabio Capoferri (Estate 2011)
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